Gli studenti sono più bravi di chiunque altro ad insegnare agli studenti, una volta che hanno compreso l’argomento.Gli ex drogati sono più bravi degli psicologi ad aiutare a far uscire dalla dipendenza altri drogati.
Le persone tendono ad essere molto più brave a risolvere i propri problemi di quanto esse stesse pensano. In fondo, sono quelle che quel problema ce l’hanno avuto, e l’hanno risolto.
Quando negli anni 40 Carl Rogers affermava che le persone che avevano il problema fossero anche le più abili a risolverli, fu preso in giro dall’accademia e dai suoi colleghi.
Come poteva essere che una persone che aveva un problema fosse capace di aiutare gli altri ? Solo persone educate da anni di training, con la loro abilità analitica e professionale, potevano essere di aiuto.
Questa di idea di coinvolgere chi è parte del processo nella soluzione dei problemi è diventata (più o meno) accettata comunemente: chi progetta processi educativi, per esempio, riconosce l’utilità di coinvolgere le persone che sono coinvolte in ciascuna fase. Se coinvolgi le persone, ottieni non solo il fatto che le novità che introduci in un ambiente vengono accettate più velocemente ma anche molte più informazioni su come migliorare le soluzioni che stai cercando.
Pensa ai gruppi di alcolisti anonimi, tanto per dire, un gruppo non guidato da un professionista per aiutare chi ha problemi di alcol ad uscirne. Oppure i Weight Watchers. O centinaia di altri gruppo di auto aiuto simili.
Ciascuno di questi gruppi dimostra come un gruppo di persone che ha problemi è in grado di funzionare come elemento per risolvere quegli stessi problemi, meglio di un entità esterna, un professionista, un terapeuta che è stato addestrato a farlo.
Possiamo affidarci a persone in questo tipo di gruppi perchè in ciascuno di loro c’è una serie di ruoli che raramente rende esplicito in altri contesti. Ed ognuno di questi ruoli richiede una serie di abilità e di capacità decisionali che ha appreso nel corso della sua vita, e che lascia emergere all’interno del gruppo.
E questo vale per gli alcolisti, per chi vuole dimagrire e per i dirigenti di un azienda.
Come esiste una ‘democrazia partecipativa’ può esistere anche una dirigenza partecipativa: coinvolgere le persone su cui le decisioni avranno un effetto, nel prendere quelle stesse decisioni.
Alla base di tutto questo c’è la convinzione che le persone sono meglio di quello che si pensa, ed effettivamente è così: quando si usano metodi partecipativi e quando vengono coinvolte, imparano più velocemente e meglio, producono più risutati e rimangono più motivate.
La vera sfida – anche per i gruppi di pratica in azienda – è quella di utilizzare questo tipo di risorsa. Nessuno sa qual è il potenziale raggiungibile da un gruppo quando ci si aspetta dei risultati migliori dalle persone, ed allo stesso tempo il gruppo è stato progettato nel modo giusto.
Ma c’è un paradosso che interviene spesso a questo punto: anche se l’approccio partecipativo è riconosciuto essere valido, raramente è messo in pratica.
Molte società sperimentano un approccio partecipativo ma sono poche a metterlo in pratica. Perchè?
Il primo motivo è, ovviamente, che un dirigente è restio di solito far trasparire che il gruppo che guida sa prendere decisioni migliori delle sue.
Ma un motivo ancora più importante è che la dirigenza partecipativa richiede fiducia. E molti dirigenti non hanno la fiducia nel gruppo e la fiducia DEL gruppo,e non hanno il tempo e la voglia di crearla e svilupparla.
Ed anche il gruppo non ha fiducia in se stesso, quando viene consultato per prendere delle decisioni, e mostra resistenza all’idea di essere coinvolto in un processo partecipativo.
E, ultima cosa, i dirigenti che si aprono all’idea di coinvolgere i dipendenti nelle decisioni dell’azienda si espongono personalmente. Il gruppo spesso mette alla prova la capacità di chi li guida ufficialmente mettendolo in difficoltà resistendo intenzionalmente ai tentativi di essere coinvolto.
E’ più facile che in situazioni del genere i dirigenti diventino l’oggetto dell’ostilità del gruppo, magari per eventi accaduti in passato, piuttosto che un guida che fa un passo indietro e lascia libero il gruppo di emergere.
Da questo punto di vista la differenza più rilevante tra un gruppo organizzato gerarchicamente ed uno su base partecipativa è questa, che nei sistemi gerarchici l’elemento più debole ed attaccabile è quello più basso in grado – quello anche operativamente meno importante – mentre in quelli fortemente partecipativi l’elemento più debole è potenzialmente quello più ‘forte’.
In ogni caso, la domanda è: quali risorse ti stai perdendo del tuo gruppo non utilizzandone il potenziale che otterresti con la loro partecipazione alle decisioni?
Grande, sono d’accordo, ho iniziato a dirigere la mia azienda in un altra direzione coinvolgendo il team ed escludendo, dando un buon riscontro economico, chi non ne voleva fare parte circa 5 anni fa.
Oggi grazie alle scelte di tutti, dall’ultimo assunto al capo reparto, si affrontano le piccole e grandi difficoltà operative e non, tutti insieme.
Il risultato? un 30% costante di aumento negli ultimi 3 anni. Bene direi ma bisogna essere disposti a mettere giù tutte ma proprio tutte le carte dell’azienda non nascondendo ne i vantaggi ne gli svantaggi di avere un azienda. La trasparenza paga alla grande con la fiducia e la comprensione dei collaboratori
Ottime considerazioni. Sintetizzerei che un problema per risolverlo, bisogna avercelo e questo la dice lunga sulla competenza di tanti ex-qualcosa. Il fatto però più sconcertante è che spesso ‘l’ex’ poi dimentica di essere stato quel qualcosa (molti vertici aziendali e capi-piramide universitari e ospedalieri ne danno larga testimonianza) e ci si trova davanti a comportamenti inspiegabili. E qui sta la necessità di un elemento di coesione che strutturi questo ‘sapere’ a volte inconsapevole fino al momento in cui viene tirato in ballo. Però non è automatico; occorre coscienza o volontà politica diversamente stiamo alle inconsapevolezze sociali.
Troppi dirigenti mancano di quel “background” che possa garantirgli un minimo di autorevolezza e troppe aziende impongono capi totalmente avulsi dal vissuto aziendale generando tra i dipendenti un clima di sfiducia difficilmente recuperabile.
L’allargamento della forbice retributiva tra classe dirigente e forza lavoro è la chiara dimostrazione del fatto che la dirigenza partecipativa come pure la “democrazia partecipativa” siano sempre più fantascientifiche utopie.