

Brevissima nota introduttiva all’articolo, che ho scritto l’8 luglio 2019: sono Simone Pacchiele e trovi qualcosa su di me qui. Da circa 15 anni insegno e faccio ricerca nel Coaching, dal 2011 tengo corsi in Università Bocconi sui temi della performance e dell’empowerment.
Ti aspetto nel Gruppo Coaching Italia per discutere di questi argomenti.
La cosa più difficile che mi capita nel mio lavoro di formazione sulla performance è quella di dover spiegare cosa faccio a persone totalmente estranee al mondo dello sviluppo personale o professionale.
Di solito capita sempre a cena, quando conosco persone nuove.
“Che lavoro fai?”
Ed alla mia risposta la loro reazione e sempre
“Ah… ma allora fai la stessa cosa dei motivatori all’americana”
Perchè la prima immagine che gli viene in mente quando pensano allo sviluppo personale è quella del formatore con il microfonino che motiva le persone, le incita a ballare e saltare con la musica a tutto volume e che ti ‘gasa’ per tre giorni dicendoti che ‘anche tu puoi’.
Ci sono diversi motivi per cui non faccio quel tipo di cose.
Quello principale è che, al di là dello stile – che proprio non mi è congeniale – penso che sia un lavoro in grado di dare una prima motivazione alle persone e dare loro un attimo di sollievo… ma che non sia poi così efficace nel generare trasformazione reale e duratura per le persone.
Ed in questo articolo ti spiego il perché.
Gli unici due modi in cui può funzionare una persona
Avendo lavorato professionalmente per quasi quindici anni con nel Coaching Professionale con persone che già generavano risultati davvero straordinari (sportivi professionisti, manager, concertisti) ho imparato che esistono solo due modi principali in cui una persona può funzionare.
Sono due posizioni ‘base’ relative a come è organizzata internamente la persona in quel momento e da cui genera performance, qualsiasi cosa faccia, dica… qualsiasi decisione prenda.
Sono due posizioni che determinano cosa è possibile per la persona in quel momento e rispecchiano uno stato mentale ed allo stesso tempo fisico – e sono lo specchio dell’intera neurologia della persona in quel momento.
1. Una posizione inibitoria, in cui una persona è – letteralmente – neurologicamente ‘chiusa’ e in cui l’apprendimento è limitato. In cui risponde e reagisce semplicemente agli stimoli esterni potenzialmente pericolosi e contempla solo possibilità in cui evita i problemi, quello che non vuole.
Vieni attaccato da un leone in mezzo alla giungla e non hai modo di pensare alle possibilità.
Reagisci ad un attacco e le sole opzioni possibili sono combattere, scappare o immobilizzarti. Sono reazione automatiche decise dal tuo sistema limbico di cui non hai il controllo e che sono state progettate in modo evolutivo per aumentare la possibilità di sopravvivenza.
In un momento del genere non c’è apprendimento e non c’è apertura alla possibilità, c’è evitare quello che non vuoi: il leone.
2. Una Posizione Naturale in cui il sistema è aperto alle possibilità presenti quando consideri cosa è possibile oltre le limitazioni attuali del sistema. In un certo modo si potrebbe dire che la posizione generativa è quella in cui sei alla ricerca di opportunità e possibilità che sono oltre a quello che è attualmente conosciuto e visibile, quando non percepisci la situazione attuale come un ‘problema’ ma solo come un’insieme di dati che provengono dal sistema. Quando ti apri a nuove cose non perchè sono la soluzione a problemi attuali, ma perchè sono la conseguenza di quello che vuoi quando non percepisci problemi.
In breve: è prendere delle decisioni da una posizione in cui quello che fino ad un attimo prima percepivi come un problema, non lo è più.
Da questa posizione c’è molto più apprendimento e riesci a trovare soluzioni ‘creative’ ed evolutive per l’individuo.
Passare da una posizione di tipo inibitorio (in cui hai l’attenzione sui problemi e su quello che non vuoi e ti organizzi REAGENDO per risolverli uno dopo l’altro) ad una posizione di tipo generativo (in cui prendi le decisioni ed agisci da una posizione in cui non percepisci problemi) è una delle esperienze più importanti che tu possa avere, perchè è in grado di farti accedere nello stesso istante a TUTTE le risorse di cui disponi, comprese quelle di creatività ed intuizione, ed in cui c’è tantissimo apprendimento, ma in cui soprattutto riesci a produrre una ‘performance intelligente’.
Che cosa intendo per performance intelligente?
Una performance in cui la persona agisce da una configurazione di acutezza sensoriale e di presenza tale da espandere le sue capacità e portarle a livello di maestria e riesce ad accedere alla propria creatività per farlo.
Una performance in cui la persona è organizzata perfettamente per rispondere al contesto nel migliore modo per lui e nel generare schemi di attività che producono risultati eccellenti.
Ed infatti lavoro ancora oggi con persone che devono ottenere risultati per aiutarli a produrre con regolarità quello che pensano sia possibile solo quando sono in una posizione di ‘stato di grazia’.
Questo lavoro non è un lavoro ‘cosciente’, che fai intenzionalmente usando la parte razionale della mente – ma passa per buona parte dal corpo e da altre strutture del cervello ed è in grado di creare una rappresentazione somatica e completa di come sei organizzato quando sei capace di accedere a tutte le tue risorse.
Di superare il solito schema ‘Ho paura che succeda questo, non voglio questo e allora reagisco in modo che non succeda’.
Dalla paura alle possibilità
Da anni utilizzo questo approccio usando il modello ReSonance per produrre cambiamenti generativi per le persone. Farle accedere ad una posizione in cui non è necessario ‘motivarli’… perchè da lì riescono a percepire e vedere esattamente tutto quello che devono fare per ottenere quello che vogliono.
Utilizzo molto del lavoro corporeo svolto ed appreso negli anni lavorando con una serie di segnali micromuscolari per portare le persone in questa posizione. E l’idea alla base è quella di ‘aggirare’ il solito meccanismo stimolo-risposta basato sulla paura e farlo accedendo non alla parte razionale ma a quella limbica e somatica.
E questo è molto molto diverso da quello che fa, non so, Tony Robbins o che cercano di fare i suoi epigoni italiani (spesso a prezzi assurdi): e cioè usare la paura — sostanzialmente prospettare sfighe terribili con maestria – per portare le persone in una posizione inibitoria fino al punto da attivare reazioni legate a risposte biologiche legate alla sopravvivenza.
“Cosa è che pensi che non riusciresti a fare? Camminare sulla carbonella? Correre la maratona di New York? Io te lo faccio fare così poi ti convincerai che puoi tutto”.
In realtà non funziona così.
Il fatto che tu riesca a camminare sui carboni o a correre una maratona non ti rende più capace di NIENTE, una volta tornato a casa.
Solo che oramai ti hanno persuaso che la tua performance puoi generarla solo quando stai così male che non ce la fai più.
Qualcosa del tipo: ti porto a provare così intensamente quello che non vuoi… essere povero, debole, solo… fino al punto che avrai paura di non sopravvivere… ed al punto in cui sei talmente in crisi da reagire.
In sostanza nel tipo di lavoro di Robbins lo schema è: ti porto a provare situazioni sgradevoli così forti che devi reagire per forza.
E questa è l’essenza di un lavoro inibitorio.
Come dire: “ti metto davanti un leone affamato, voglio vedere se muovi il culo da quel divano.”
Questo in realtà è quello che fanno TUTTI – nessuno escluso – i motivatori americani e le loro copie italiane.
Funziona? Funziona per un certo tipo di persone. E sotto certe condizioni.
Ma ci sono un sacco di ma.
Perchè una volta che hai mosso il culo dal divano, terrorizzato, devi anche sapere dove andare – non basta spostarsi da lì e andarsi a trovare un altro divano su cui riposarsi.
Non è un intervento generativo perchè quando lavori così hai bisogno di interventi continui – altrimenti non c’è abbastanza energia nel sistema per il cambiamento. Non trasforma le persone nel senso di metterle in grado di funzionare da sole da quel momento in poi – crea in qualche modo dipendenza.
Torni a casa gasato dal corso e con ancora tutta quell’energia e non sai come utilizzarla per cambiare le cose.
E’ semplicemente come quando aumenti i giri al motore ma non hai degli penumatici adatti a scaricare quei giri sull’asfalto. E’ probabile che non hai il controllo della macchina che desideri.
Ma soprattutto non è un tipo di lavoro che fa vedere le possibilità alle persone. Ciò che è possibile quando non hai problemi – e non ti mette in grado di decidere da lì. Quando ha un leone davanti scappare e non vedere le possibilità è ottimo.
Ma agire come se avessimo un leone davanti anche quando non c’è… non è la cosa più efficace che si possa fare.
I cambiamenti, se ci sono durano troppo poco e sono superficiali.
Cosa pensano le persone che studiano il ReSonance?
Proprio mentre finivo di scrivere questo articolo ho ricevuto una mail da uno dei partecipanti all’ultimo corso ReSonance che ho tenuto qualche giorno fa. Lui si chiama Giacomo, è un musicista mi ha inviato un breve racconto di come ha vissuto il corso e di quello che è successo nelle ore successive alla fine del corso ha cui ha partecipato.
Voglio copiartelo qui sotto così come lo ha scritto. Perchè racchiude in poche righe l’esperienza del ReSonance ed il tipo di performance che questo modello è in grado di generare.
“Sarà un caso.
Uscito dal corso di Simone mi son ritrovato a pensare ai corsi motivazionali di crescita personale, le solite americanate, a quanto ci siano persone che si arricchiscono e parecchio, specialmente se tu non ‘cresci’. Ho sempre avuto l’impressione che chi ha bisogno del Guru abbia paura di volare. Che se ho bisogno del maestro è perché non so essere indipendente. Ho sempre pensato che chi non sa cosa fare nella vita faccia il cantante… o il coach.
Pensavo a questo mentre camminavo per arrivare alla stazione.
Sul treno ho iniziato a cercare qualcosa che potesse smuovermi per conto mio, per il mio lavoro. Ho iniziato a spedire email in giro. Ne ho spedite qualcuna. Poi arrivato a casa ho dormito, perché Simone ti mette alla prova e arrivi stanco a casa.
Il giorno dopo c’era una email e qualcosa era già successo.
Sarà un caso, ma ecco cosa credo:
Simone ha il carisma di un tir contromano e quando ti guarda ti investe. Ha quell’aria sicura di chi la sa più lunga di te. È preparato e ne è cosciente. Si vede che ci ha sputato sudore, e non è uno che si è inventato ieri. Non ti liscia, non accarezza, non dice puttanate motivazionali tipo “credo in te”, “dai che ce la fai”, “tutti insieme… yeaaaa!”.
Fa qualcosa, ti mette su quel trespolo e ti inchioda, gli occhi degli altri diventano spilli e lui se la gode, come il gatto col topo, ti lascia l’idea di poter scappare, sembra darti spazio, ma alla prima occasione ti rende una manata con le unghie retratte e ti rimette al tuo posto.
Sono uscito dal corso intontito e pronto a non tornare, perché a me il Guru non serve. Io ho la piena consapevolezza, ho la vita che voglio e so cosa voglio. Eppure il tir Simone è ancora qui in testa che ronza: non voglio ammetterlo, ma qualcosa è successo.
Sarà un caso, ma uscito dal corso mi sono mosso per fare qualcosa che ancora non avevo fatto. Sì, perché io ho la vita che voglio e so cosa voglio: ma ancora quel primo passo non lo avevo fatto. L’ho fatto ieri. A cosa porti non lo so, ma so che se niente si muove, niente succede. Ed io l’ho fatto, finalmente.”
Giacomo
E se vuoi scoprire come si fa cliccando qui trovi qualche informazione in più
NOTA 1: Una delle cose che succede quando scrivo un articolo del genere è che le persone vogliono vederci per forza dell’altro che non ho detto. Non è un articolo ‘contro’ nessuno, non dico che quel tipo di lavoro è inefficace.
Dico che con certe persone (come me) è inefficace e che è meno capace di generare un cambiamento che si auto-sostiene nel tempo senza nuovi stimoli esterni (un cambiamento generativo, appunto).
Personalmente il passaggio da un picco negativo ad uno positivo funziona con molte persone ma non risuona proprio con me. Io lo trovo un lavoro noioso – è un paradigma di cambiamento che con me non funziona, e come con me con tante altre persone.
Quello che faccio nel ReSonance parte dal lato opposto, ed è successivo dal punto di vista evolutivo, nel senso che si rivolge proprio ad un tipo di persone con problemi, valori, esigenze, grado di evoluzione diverso. D’altra parte in ogni articolo sul mio sito lo specifico chiaramente: quello che faccio non è per tutti, lavoro con gruppi relativamente ristretti.
NOTA 2: Il ReSonance è un modello di lavoro specifico e diverso da tutti i modelli di coaching ed è in grado di generare risultati per le persone molto velocemente. Necessariamente per descrivere l’approccio al lavoro occorre usare termini comuni, e so già che questo porterà alcune persone a dire ‘ah si ma anche io faccio questo…’. Credimi, al 99% non è così!
Concordo con la simpatica ma azzeccatissima percezione di Giacomo: Simone ha il carisma di un tir contromano che quando ti guarda ti investe. Questa sensazione l’ ho provata addirittura attraverso la nostra prima conoscenza telefonica solo ascoltando la sua voce, non oso pensare quando ad agosto in occasione del corso intensivo che si terra a Verona dal 6 al 12 i nostri sguardi s’ incontreranno .. WOW non vedo l’ ora !!!
Sei la benvenuta Gaia! 😉