Nella mia esperienza la prima cosa che gli esseri umani dimenticano è che, qualsiasi cosa amino fare, dimenticano quanto sia facile per loro farlo.
Ho lavorato nel coaching ormai con qualche centinaio di persone, e molte di queste sono davvero talentuose in qualche attività.
Non sto parlando di performer di livello medio. So riconoscere un musicista di livello superiore, o un artista visuale, o un architetto. O un ballerino. O un matematico. O un venditore. O un cuoco. O un architetto.
Persone per cui è naturale avere un orecchio assoluto, o immaginare di muoversi in spazi complessi e di sentire come sarà starci dentro prima ancora di mettere la matita sul tavolo da disegno e iniziare il progetto.
O mettere insieme 7,8,10 sapori diversi e immaginare da prima come sarà il risultato finale. O saper riconoscere le migliori materie prime per preparare un piatto da particolari così piccoli e apparentemente insignificanti per tutti gli altri tranne che per loro.
Abilità che non sono solo impossibili per me, ma che riterebbero impossibili la maggior parte delle persone.
Eppure proprio perchè sono cose facili, non vedono che quello è il punto di partenza migliore per avere accesso a quella che chiamo l’esperienza della propria vita.
La SECONDA cosa che fanno normalmente le persone è attaccare un senso di paura o di sfida al fare quello che per loro è più facile.
Strano no?
Sei bravissimo a fare qualcosa, eppure farla ti mette paura, o ti fa sentire come quando da bambino prendevi la bicicletta e invece di stare sotto casa andavi di nascosto a fare un giro nel quartiere della città più lontano… Proprio lì dove ti avevano detto di non andare perchè troppo lontano da casa.
E il paradosso è proprio questo, che questa sensazione di fare qualcosa di sbagliato è ‘attaccato’ a quello che ti riesce meglio.
E’ per questo che Joseph Campbell, lo studioso di mitologia, diceva che gli esseri umani quando non nascono non sono ‘completamente’ degli esseri umani. E che diventarlo è il lavoro di una vita.
Perchè in realtà la tua educazione formale, da bambino, è iniziata in questo modo: ti è stato comunicato a livello più o meno esplicito, che quello che interessa a te non va bene per le persone a cui sei più affezionato, ai tuoi genitori, alle persone con cui passi più ore al giorno, ai tuoi insegnanti.
Se vuoi andare bene per loro, devi mettere da parte quello che ti piace e iniziare a metterlo dopo quello che è importante per loro.
Stare 4 o 5 ore seduto in un banco, passarne altre due a casa su una sedia a fare i compiti è più importante del fare quello che ti piace. Puoi farlo SOLAMENTE dopo aver completato quello che piace a loro, non quello che piace a te.
L’intero sistema educativo è costruito in modo da insegnarti a non avere fiducia in quello che senti di voler fare. In quello che ti viene facile e che è divertente fare.
“Fidati degli insegnanti, perchè sanno quello che è meglio per te”
“Se segui quello che diciamo avrai una vita in cui ti mancherà niente: una buon lavoro, una bella carriera, una casa grande e tutto quello che serve”
Eppure quando lavoro con le persone la prima cosa che emerge è che è presente per loro il senso, forte, di qualcosa che manca. Non esteriormente, perchè da quel punto di vista hanno già tutto.
Ma qualcosa che manca e spesso non sanno neanche cos’è.
Al punto che se a queste persone chiedi ‘allora, cosa vuoi?’ – anche solo una domanda del genere li mette in crisi.
Questo, in qualche modo, è l’inizio del lavoro.
Che cosa sei venuto a fare a questo corso?
Lo chiedo spesso quando faccio formazione.
Perchè se non sai rispondere a queste domande, non puoi essere capace di generare delle performance in grado di portarti dove vuoi.
“Cosa vuoi?” è una domanda piuttosto semplice. E’ posta in modo positivo, e quando si risponde in maniera positiva ha la capacità di ‘spostarti’ in una posizione diversa. Una posizione in cui percepisci le possibilità.
Ma quello che fa la maggior parte delle persone è distorcere questa domanda nella loro mente, senza accorgersene, e trasformarla in ‘Cos’è che NON voglio?’.
Come se le due domande fossero la STESSA cosa.
E una cosa che faccio come coach.. facilitatore… mentore… dagli il nome che preferisci, è quella di riportare le persone con cui lavoro in una posizione in cui riescono a portare l’attenzione mentalmente e fisicamente in relazione a ciò che vogliono e non reagendo a ciò che nn vogliono.
Cosa vuoi?
Non voglio più lavorare dove sono adesso
Si ma io ti ho chiesto cosa vuoi
Voglio andare via dal mio posto di lavoro
Ancora non va bene… (risate del gruppo in sala)
Silenzio
Silenzio
…
…
Silenzio
Cosa vuoi?
Silenzio
Praticamente tutto quello che faccio quando lavoro ha un solo scopo, che è quello di creare un contesto per le persone in cui possono accedere ad modo di essere dove è presente ciò che vogliono e non ciò che non vogliono.
Una volta che questo filtro è a posto, posso iniziare ad usarlo per creare un senso di benessere per loro, partendo da lì.
Ci sono, normalmente, dei momenti in cui ci sentiamo più ‘vivi’ del solito.
Questa posizione… questo allineamento che insegno nel ReSonance è la rappresentazione migliore che conosco e l’esperienza di cosa vuol dire essere vivi. Un allineamento a partire dal quale tutto è percepito come possibile, e da cui comunichi nella sua interezza chi sei: fisicamente, mentalmente, emotivamente, spiritualmente.
Tutti abbiamo sperimentato per lungo tempo, da piccoli, questo stato. E abbiamo ancora accesso a questa memoria somatica e mentale di cosa vuol dire quando non c’è nessuna parte di noi che va in una direzione diversa dalle altre. E’ qualcosa con cui siamo nati, uno specie di perfezione innata, che si manifesta man mano che cresciamo in momenti sempre più rari.
Ed è una ‘posizione’, un allineamento, un modo di essere che si organizza e nasce a livello micro-muscolare… attraverso dei meccanismi di feedback… degli aggiustamenti ricorsivi con cui tutte le energie si allineano e si rinforzano le une con le altre.
Quando sei in questo stato, tutto è perfetto. Non hai bisogno di cambiare niente all’esterno di te per essere a posto, perchè percepisci (percepisci, non immagini mentalmente) che tutto quello che vuoi è possibile.
Fare quello che ami torna ad essere un piacere, non qualcosa che ti mette paura.
Una volta che accedi a questa posizione, il corpo cambia, e cambia come integri questo piacere a livello di ciò che ritieni vero, e di ciò che pensi.
Sei in grado di dire quello che vuoi, e di sostenere tutto quello che va fatto per ottenerlo, se è quella la direzione in cui vuoi andare.
E inizi a ricordare.
Se vuoi accedere a questo tipo di lavoro ti aspetto domenica 1 settembre a Roma.
Le basi del Coaching
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