Avevo pensato di intitolare questo articolo ‘Se solo fosse possibile riconoscere una persona che mente dalla lunghezza del naso’ 😉
Ho letto credo quasi un centinaio di libri e di saggi sul riconoscere quando una persona mente. Ho lavorato per dieci anni con le persone utilizzando diverse discipline somatiche mentre sviluppavo il ReSonance, il modello di coaching con cui lavoro oggi, e credo che questo mi abbia dato un notevole vantaggio nel riconoscere cosa succede all’interno della persona in ogni momento in cui comunica.
E, sinceramente, ho letto anche parecchio materiale totalmente inutile su questo tema…
Una delle mitologie più diffuse tra i ‘non addetti ai lavori’ è che ci siano dei segnali ‘sicuri’ e univoci che le persone fanno sempre quando mentono.
Oppure che abbiano una serie di atteggiamenti tipici che devono per forza essere presenti in qualcuno che mente: del tipo sudare di più, distogliere lo sguardo, incrociare le braccia… e così via.
Non c’è niente di più inesatto, sebbene in alcuni libri di ‘esperti’ nel linguaggio del corpo sia scritto proprio così.
La vera difficoltà nel riconoscere se qualcuno che sta mentendo dal mio punto di vista dipende da una sola cosa, ed è il grado di acutezza sensoriale dell’osservatore.
La capacità di lasciar entrare il maggior numero di informazioni possibili dal sistema in cui agisce la persona che osservano.
E questo paradossalmente è tanto più difficile da fare se concentrano la loro attenzione solo su alcuni indizi che pensano debbano essere presenti per forza.
Se porti l’attenzione al fatto che una persona stia incrociando o meno le braccia (e questo quasi mai vuol dire qualcosa relativamente al fatto che la persona stia mentendo, tanto per dire) è più facile che ti perda tutti i dati che arrivano relativamente a come posiziona i piedi.. o a come respira… o a come direziona lo sguardo.
Su quanti dati singoli puoi portare l’attenzione nello stesso momento? Anche se sono tanti, il loro numero è sicuramente inferiore alla quantità dei dati POSSIBILI che puoi considerare per determinare se una persona mente o meno.
Quanto velocemente risponde alle tue domande?
Quanto è indifferente rispetto alle domande che gli fai?
Quanto alta è la sua intonazione vocale mentre risponde?
E ti dico solo tre cose che magari fino ad ora non avevi considerato…
La mia idea quando insegno nei corsi sulla comunicazione non verbale ed il linguaggio del corpo è partire da un approccio diametralmente opposto a quello di cercare degli indizi specifici. Ed è cioè insegnare alle persone con cui lavoro a portare l’attenzione semplicemente su ogni deviazione da quello che in quel contesto è un comportamento ‘normale’ secondo loro.
E’ insegnargli ad affinare ed a fidarsi del loro intuito ogni volta che percepiscono qualcosa che ‘non va’, ed a lavorare piuttosto sulla capacità di far entrare più dati possibili riconoscendo semplicemente che qualcosa non è esattamente come dovrebbe essere nel momento in cui l’altra persona mente, anche se ancora non sanno QUALE è questa cosa.
Insomma non c’è nessuna ricetta magica per riconoscere chi mente.
Ma c’è un’idea molto interessante che ho ‘rubato’ a Aldert Vrij (un criminologo autore di diversi libri su questo tema) e che consiste nel mettere un pò più sotto pressione la persona ‘interrogata’ 😉 Ed il modo specifico che suggerisce Vrij è di far raccontare alla persona la propria storia… quella che pretende essere vera… all’incontrario.
Fargli semplicemente raccontare la successione dei fatti partendo dalla fine e andando via via indietro…
Quando le persone sono messe sotto pressione, banalmente, è più facile che emettano dei segnali non verbali indizi di una bugia in modo più ‘puro’ e chiaro.
Ed ovviamente il ‘trucco’ vale anche se non ti occupi professionalmente di interrogatori 😉
Alla prossima!
Simone Pacchiele
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