A scuola eravamo divisi.
Non ufficialmente, certo. Ma lo eravamo.
Quelli che “la matematica è facile”… e quelli che “non sono portato”.
Io ero nel primo gruppo. Quelli con il sistema binario per parlare in codice con gli amici nerd ed esaltati per le derivate e gli integrali. Quel brivido strano di quando finalmente capivi qualcosa che sembrava scritto in sanscrito.
Ma non era per amore.
Era per vanità.
Perché a quell’età non studi per imparare. Studi per sembrare bravo. Perché essere bravi — o almeno sembrare — serve.
Nel frattempo, c’erano amici miei che odiavano la matematica. Non perché non capissero. Ma perché nessuno gliel’aveva mai fatta capire. Gli sembrava inutile. Staccata da tutto.
E ogni volta che chiedevano: “Ma a che mi serve?” — la risposta era sempre quella. Allenamento alla mente. Università. Futuro. Astratto.
Ora che il futuro è oggi — che hai bollette, mutui, contratti da firmare e scelte da fare — la verità è un’altra: abbiamo studiato la matematica sbagliata.
Sì, anche chi era bravo. Anzi, soprattutto chi era bravo.
Perché il mondo che ti aspetta fuori non ti chiede di sapere le derivate. Ti chiede di capire il rischio. Le probabilità. I dati. Le scelte sbagliate che fai perché ti fidi della sensazione e non dei numeri.
Il mondo reale è fatto di statistica e probabilità. Ma tu questo non lo sai. Perché a scuola, quella roba, te l’hanno fatta vedere di sfuggita. Magari in due ore all’ultimo anno. Quando già pensavi all’Interrail che avresti iniziato a luglio, dopo gli esami di maturità.
E invece è lì che si gioca la partita.
Capire se ha senso giocarsi lo stipendio su un’app di scommesse. Capire che “statisticamente significativo” non vuol dire che quella vitamina ti salverà la vita. Capire se davvero quella promozione è un affare.
Perché la realtà non è MAI bianca o nera. È una nuvola di possibilità.
E la statistica è l’ombrello che ti ripara dalla pioggia.
Serve riformare la scuola? E che ne so io. 😉
Ma serve fare spazio a cose che salvano la vita. Che aprono gli occhi. Che ti insegnano a non farti fregare.
Ma non bastano le materie. Serve come le insegni.
Vorrei vedere un ragazzo di quattordici anni calcolare il valore atteso del passaggio filtrante di Sinner.
Vederlo usare un test A/B per decidere il titolo del suo video.
Capire perché il suo profilo Youtube ha smesso di crescere.
Capire i numeri per leggere il mondo, non per prendere un voto.
Quando accade questo — la matematica smette di essere un mostro.
Diventa una lente. Un superpotere. Un’armatura silenziosa.
E no, non serve solo per chi vuole fare la Bocconi e lavorare in Goldman.
Serve a chiunque viva nella realtà.
Serve per difenderti dagli “esperti”.
Serve per smontare le illusioni.
Serve per non farti fregare dal te stesso pieno di entusiasmo e bias cognitivi.
QUESTO tipo di matematica ti protegge dalle truffe degli esperti di investimenti. Dalle illusioni. Dai titoli clickbait. Dagli esperti improvvisati. Anche da te stesso.
Vuoi un esempio pratico?
Vuoi educazione contro la ludopatia? Insegna a un sedicenne cos’è il valore atteso. Non dirgli “non farlo”. Fagli vedere perché è una fregatura. Matematicamente. Oggettivamente.
“Diventa ricco con 500 euro di capitale?” Stessa cosa.
Molto di quello che ci serve passa da lì.
Dai numeri. Ma non quelli che ci hanno insegnato a memoria. Quelli che spiegano il mondo.
E poi c’è un’altra cosa.
Solo chi conosce la statistica, può ancora meravigliarsi quando la realtà… la tradisce.
Quando qualcosa va storto. O incredibilmente dritto.
Quando un investimento da 1 euro ne fa 100.
Quando incontri l’unica persona al mondo con cui stai bene.
Quando scopri che quel disco, trovato per caso, cambia la tua giornata.
Solo chi sa che il mondo è probabilità, può ancora credere nei miracoli.
Perché se non sai quanto è raro… non puoi stupirti.
E se non ti stupisci più, cos’è rimasto?
Capire la statistica serve per non farsi fregare.
Ma anche per lasciarsi sorprendere.
Perché i successi fuori scala, la bellezza, l’amore, i successi fuori scala — esistono.
E hanno senso solo se hai una mappa per riconoscere quando li hai davanti.
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