Molto spesso le persone che incontro nel lavoro del ReSonance mi parlano di voler migliorare le performance nell’apprendimento. Imparare più velocemente, magari una lingua che devono usare prima possibile per motivi di lavoro.
Non è l’unica situazione in cui l’apprendimento e le performance sembrano rallentarsi.
Ti è mai capitato di voler imparare qualcosa, di applicarti ogni giorno e di sforzarti tanto in di acquisire abilità che non arrivano… fino al punto di decidere di lasciar quasi perdere e poi, ad un certo punto, accorgerti che un giorno apparentemente tutto d’un tratto riesci a fare quello che fino al momento prima ti sembrava impossibile e di cui non avevi il minimo segnale che sarebbe successo?
Ultimamente mi è capitato di lavorare con una manager che si sentiva bloccata sull’apprendimento dell’inglese, che già parlava bene ma che voleva migliorare perché la sua società è stata acquisita ed il suo nuovo capo è di Londra. Vuole interagirci ad un livello comunicativo più preciso, e percepisce che il livello attuale del suo inglese non è sufficiente.
Nello specifico quello che succede per Luisa (è il suo nome) è che parla decentemente l’inglese quando deve esprimersi, ma ha una grossa difficoltà nel comprendere l’inglese parlato al telefono o in un film. Se le vede scritte capisce le parole, ma non distingue i suoni quando si tratta di ascoltare.
Una delle idee che mi vengono in mente quando penso all’apprendimento di abilità complesse come parlare una lingua me l’ha data un amico, un pianista classico italiano piuttosto conosciuto. Negli ultimi tempi mi è capitato di seguire un suo master class (in cui sono stato quasi subito coinvolto per migliorare le performance dei giovani talenti pianistici a cui stava insegnando) ed in una delle pause mi ha fatto una confidenza.
Questo amico oltre a suonare il pianoforte (dall’età di 3 anni) negli ultimi 4 o 5 anni si è dedicato allo studio ed alla ricerca del repertorio per il piano pèdalier (o pedal piano): uno strumento composto da due pianoforti sovrapposti che si suonano uno con le mani e l’altro… con i piedi (per l’estensione di 3 ottave).
Adesso già suonare il pianoforte è una delle attività più complesse per un essere umano: 88 tasti, indipendenza delle mani, leggere e suonare in tempo reale dovendo leggere anche pezzi di spartito che stanno 2 o 3 righe più avanti per processarle ed arrivare pronti quando le suonerai 10 secondi dopo…
Ma aggiungere un ALTRO pianoforte e raddoppiare il livello di complessità è dura anche per uno che suona a livelli eccelsi – il pianista in questione ha registrato dischi per una delle più prestigiose case discografiche di musica classica.
E mi ha raccontato che per i primi 6 mesi tutto quello che suonava con il ‘piano di sotto’ non riusciva ad essere indipendente da quello che faceva la mano sinistra.
6 mesi, 180 giorni, circa 1000 ore di lavoro in cui provi a fare una cosa che non ti riesce.
E attenzione non è che prova a farlo uno che non ha mai suonato un pianoforte – ma uno che fa 80 concerti di altissimo livello ogni anno.
Un giorno si è svegliato, si è messo come al solito al suo bel bestione composto da due pianoforti, ha iniziato a suonare e la cosa gli è riuscita quasi perfettamente.
Il giorno prima zero.
Il giorno dopo quasi perfettamente.
Da zero a 100.
E aggiunge: ‘E’ come se da un momento all’altro mi avessero aperto due nuovi canali nuovi di zecca nel mio personale mixer che ho nella mente’.
Ogni tanto sento dire da qualche formatore che uno dei segnali che sei nella giusta direzione è che fai progressi ogni giorno, e che questi progressi iniziano subito.
Prova a dirlo al pianista che per 6 mesi prova a suonare il piano pèdalier e che per 6 mesi – tutti i giorni – non riesce a separare quello che fanno mani e piedi.
L’apprendimento NON è lineare. Mai.
Può darsi che lo sia per attività molto semplici come l’acquisizione di semplici abilità limitate nel numero dei passi da eseguire. Ma per cose più complesse come suonare uno strumento o imparare una lingua ci sono SEMPRE dei periodi in cui nulla sembra succedere ed in cui poi da un giorno all’altro ti svegli e riesci a mettere in pratica quello che per sei mesi hai cercato di fare senza successo.
Quando sembra che niente stia succedendo, in realtà si stanno creando nuove connessioni, aree del cervello inutilizzate o utilizzate per altri scopi si stanno predisponendo ad occuparsi dei compiti per cui le stai esercitando…
Ed una delle cose più importanti che puoi fare in un periodo in cui stai imparando una attività complessa è quello di farlo dalla specifica configurazione non-inibitoria e generativa che impari nel ReSonance.
La differenza tra quando apprendi da questa posizione è la differenza che c’à tra imparare e capire.
L’idea alla base del ReSonance è che imparare è una funzione dell’essere umano che esiste ad un livello più primordiale del semplice capire.
Prima impari e poi capisci.
Imparare è qualcosa che esiste a livello neurologico/fisico/corporeo PRIMA ancora che esista come funzione puramente cognitiva. La completezza dell’essere umano come individuo che fa un’esperienza impara in maniera esperienziale: sensorialmente e somaticamente. Solo dopo riesce ad avere una comprensione di quello che ha già imparato a fare, ma quando riesce a farlo ha già inglobato e sviluppato uno schema somatico in cui riesce a replicare – senza sapersi spiegare come fa – quello che fa.
Puoi capire come si fa a parlare inglese solo dopo che l’hai fatto.
Puoi capire cime si fa a suonare il piano pèdialier solo dopo che l’hai fatto.
Può sembrarti strano ma è così.
Ed una volta che l’hai fatto, l’hai fatto. Una volta che comprendi quello che dicono in inglese mentre il giorno prima non lo capivi non puoi tornare indietro. Una volta che si è sbloccato si è sbloccato.
E c’è una relazione fortissima (isomorfica direi) tra come sei quando il giorno dopo sai sentire l’inglese e come ti organizzi somaticamente quando sai farlo. Sei allineata – mente e corpo in una modo diverso, porti l’attenzione su cose diverse. A livello micromuscolare la tua configurazione somatica rispecchia quello che di nuovo sai fare.
Il punto davvero importante è che non operi mai da una posizione totalmente neutra nell’apprendimento.
La tua configurazione – la ‘posizione’ di cui parlo spesso quando faccio un lavoro ReSonance – influisce notevolmente sulla tua capacità di apprendere. E quando apprendi cambia anche la tua configurazione.
Iniziare a portare l’attenzione su cosa deve essere vero e su come sei quando comprendi suoni che fino al giorno prima non riuscivi a distinguere tra di loro e notare a cosa è cambiato in te perché tu riesca a farlo – e codificare la tua specifica sequenza di accesso a questa configurazione di apprendimento accelarato è molto molto più importante di ‘capire’ a livello intellettuale perchè adesso riesci a fare qualcosa che ieri non ti riusciva.
E’ interessante perchè questa è stata proprio l’esperienza di Luisa.
Dopo 3 mesi in cui vedeva film e ascoltava la radio in inglese e nulla succedeva, in una sessione di ReSonance è bastato riportarla alla sua configurazione di performance e tutto il lavoro fatto nei mesi precedenti si è ‘sbloccato’ il giorno dopo, iniziando a distinguere suoni e parole che prima non distingueva e ad avere una comprensione dell’inglese davvero più completa.
Ovvio che aveva studiato, ovvio che aveva preso lezioni, ovvio che sapeva la grammatica.
Ma il ReSonance non lavora su quegli aspetti evidentemente, ma lavora su quelle componenti apparentemente ‘non controllabili’ della performance e dell’apprendimento che normalmente releghiamo al caso o alle doti personali o all’intelligenza o al talento – semplicemente perchè non riusciamo a spiegarcele.
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