E’ di ieri (24 giugno) la notizia che una cinquantina di persone si sono fatte male ad un corso di Anthony Robbins, il motivatore americano (che ha epigoni anche in Italia) camminando sui carboni ardenti.
Se segui il mio lavoro sai che ogni tanto scrivo – andando a volte anche un po’ sopra le righe – come la penso sul lavoro dei ‘motivatori’.
Voglio dirti come prima cosa che non ce l’ho per partito preso con quel tipo di lavoro. Credo che per qualcuno all’inizio del proprio percorso di cambiamento possa (ma non sempre) anche avere una certa utilità.
E quando mi scaglio contro i motivatori, non lo faccio per marketing, per prendere un posizionamento opposto o tantomeno per deridere la concorrenza (che poi concorrenza non è, visto che facciamo un lavoro totalmente diverso).
Voglio dirti a quale livello ragiono: a quello delle centinaia di persone con cui ho lavorato nei miei corsi, che hanno iterato in circolo per anni in corsi in cui l’aspetto motivazionale e ‘pompante’ impediva loro di vedere il singolo aspetto che avrebbe potuto farle muovere in avanti, e che con tutto quel casino intorno non potevano vedere. L’ovvio è elusivo, e la ‘motivazione’ lo rende ancora più nascosto.
Certo quello che facciamo nel ReSonance è un lavoro un po’ meno immediato. A volte per iniziare a rendersi conto di questo serve un po’ di tempo – lo so bene – mentre due giorni motivanti li capiscono tutti e subito.
Ma il punto per me è quello che succede in termini di risultati misurabili e sostenibili quando torni a casa. Non quanta gente c’era o quanto sei stato felice o carico o esaltato al corso.
E’ quanto sei in grado DOPO di creare trazione e collegamento tra ciò che hai sentito durante il corso e la realtà di tutti i giorni.
E nel caso dei carboni ardenti questa trazione per la maggior parte delle persone che conosco non l’ho mai vista. Perché sinceramente esistono metodi MOLTO più eleganti ed efficaci di generare capacità di rispondere al contesto in maniera funzionale di quelli che prevedono il camminare sui carboni ardenti o di buttarsi da un palo.
E’ OVVIO per tutti che il mio lavoro non può essere fatto in tutto quel casino, è OVVIO che è diametralmente opposto per approccio, tecnologia, impostazione.
Ma non lo faccio per ‘differenziarmi’ o cazzate simili.
Lo faccio perché per me quello che funziona NON è quella roba lì. Punto.
So bene che uno dei meccanismi tipici dell’acquisto è dire ‘se attrae migliaia di persone sarà bravo’, senza che questo generi poi necessariamente risultati per le persone.
Ma la mia metrica quando lavoro in questo tipo di corsi non è semplicemente quante persone ho in aula. E’ ovvio che un po’ deve esserlo, perché sono un imprenditore. Ma al primo posto metto sempre la metrica più utile per il cliente – ‘quanto sarò in grado di trasmettere ed infondere di queste cose negli intoppi che sperimento ogni giorno per rendere le cose diverse?’
Ecco mettila così, io lavoro solo con persone più interessate a comprendere in profondità come generare risultati che alla scenografia.
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