Mi interesso di coaching da circa 15 anni, e da più di 10 professionalmente.
Ho cominciato a partecipare a parecchi di corsi di coaching e successivamente a tenere corsi di coaching all’estero ed in Italia, in un periodo in cui in Italia imperversavano i corsi di coaching motivazionale (quelli dove balli, salti e canti, cammini sui carboni ardenti e ti butti dai pali, per capirci).
Oggi esistono davvero tanti corsi di coaching, che usano diversi approcci e diverse metodologie. Alcuni mi piacciono perché sono più vicini a come le persone funzionano quando ottengono risultati, altri utilizzano sistemi che, per come sono fatto, so già non essere efficaci in relazione ad un miglioramento effettivo.
Sono comunque sempre alla ricerca di idee nuove e di qualcosa che sia in grado di migliorare realmente, e non solo a parole, le performance delle persone.e)
Da alcuni anni sviluppo la ricerca nel Coaching e tengo corsi privati per i miei clienti (privati e aziende). Dal 2011 tengo corsi di formazione in Università Bocconi per gli studenti dei corsi di laurea.
Cosa è in realtà il coaching
Una cosa secondo me dovrebbe essere chiarita prima di ogni discussione su questo argomento: definire di cosa si occupa il coaching.
Perché molte (anzi moltissime) persone si avvicinano al coaching avendo le idee confuse, con intenzioni a volte molto diverse tra loro e con un atteggiamento poco chiaro (nei confronti di se stessi) su quello che sarà la loro professione di coach o su dove e come utilizzeranno le tecniche di coaching.
Mi piacerebbe chiarire una volta per tutte cosa è coaching e cosa non lo è.
Quando si parla di coaching si dovrebbe parlare di un processo che porta le persone ad un miglioramento misurabile dei risultati che ottengono e delle loro performance.
Questo comporta che quello che assolutamente NON fa un coach è risolvere i disagi ed i problemi personali (che è un ambito di competenza di altre professioni).
E quello che fa un coach non è neanche ‘rendere felici’ le persone o far vedere loro modi in cui possono essere felici. Il coaching, mi dispiace dirlo, non riguarda la felicità. Anzi credo che sarebbe piuttosto triste che qualcuno vada a cercare la propria felicità in un corso di coaching o da un coach.
Il coaching riguarda i risultati e le performance. Punto.
Lo dico espressamente perché tante volte incontro coach che esplicitamente dicono di non occuparsi dei problemi e di non cercare di risolvere i problemi, ma poi quando tengono dei corsi o lavorano 1 a 1 con le persone utilizzano un approccio e hanno un atteggiamento che va MANIFESTAMENTE in una direzione totalmente opposta a quello che dicono di fare.
In realtà molti coach cercano, più o meno consapevolmente, di risolvere i problemi ed i disagi dei loro clienti, e purtroppo spesso non se ne accorgono neanche. I motivi per cui questo accade sono molti: per loro inclinazione personale, perché è quello che hanno sempre fatto, perché non possiedono strumenti di coaching più evoluti. Fatto sta che si trovano spesso invischiati in relazioni in cui l’altra parte si trova in condizioni di sofferenza.
Questo NON è coaching.
Il coaching non si occupa di questo. Il coaching si occupa migliorare i risultati e le performance che le persone generano. Un coach si occupa di lavorare con una persona che già produce dei risultati (in qualsiasi campo: professionale, personale, sportivo, musicale… aggiungi quello che vuoi) mettendolo in grado di di generare dei risultati ancora migliori e con maggior continuità e consistenza.
Attraverso quali strumenti? E attraverso quale logica?
In questo articolo ti racconto quale logica seguo quando utilizzo il sistema di coaching ReSonance.
Spero ti possa essere utile se vuoi imparare a fare coaching in maniera efficace, o se sei già un coach e ti rendi conto che gli strumenti che hai per trasformare persone, contesti ed organizzazioni iniziano ad essere un po’ spuntati.
La situazione attuale del coaching in Italia
Ho già parlato di questo argomento in un articolo che ho scritto recentemente che ho intitolato Coaching Confusione. Se vuoi puoi leggerlo qui.
Io ti consiglio comunque di dargli un’occhiata perché contiene alcune distinzioni sul mondo del coaching che secondo me è sempre bene conoscere.
Quello che vedo è che in questo momento in Italia ci sono diversi corsi di coaching che, almeno esteriormente sintetizzano e traducono alcuni modelli di coaching esteri, soprattutto di matrice americana.
Questi approcci di solito ricadono nella categoria dei corsi motivazionali, oppure dei corsi che hanno un approccio più basato sulla PNL, una disciplina nata negli ’70. O ancora su metodi molto mentali e ‘logici’ di miglioramento dei comportamenti usati, anche loro, per la prima volta negli anni ’70 nello sport. O, infine, metodi che semplificano metodi per intervenire in relazioni di aiuto.
Non volevo fare un corso di coaching che assomigliasse ad uno spettacolo
A questo proposito ci sono quattro osservazioni da fare, tutte e tre secondo me fondamentali.
La prima osservazione è che nella mia vita professionale, tra tutte le persone che ho incontrato e che naturalmente generavano performance in maniera naturale… i talenti veri insomma… nessuna di queste utilizzava, consapevolmente o inconsapevolmente, le strategie di motivazione o di PNL o le strategie mentali che ho visto insegnare nei corsi di coaching mentale o motivazionale.
Una cosa è pensare di migliorare sè stessi con il coaching motivazionale che ti insegna a ‘crederci forte’. O ancora peggio, come fanno alcuni, camminando sui carboni ardenti o correndo una maratona o lanciandosi nel vuoto da un palo di 30 metri.
Un’altra cosa è comprendere che la differenza tra i risultati normali ed i risultati eccezionali dipende esclusivamente da fattori molto più sottili e dal sapere accedere ad una configurazione quasi ‘intuitiva’ in cui hai una chiarezza enorme e la sensibilità necessaria per compiere le singole azioni che devi fare per ottenere ciò che vuoi e soprattutto per fare in modo che queste azioni sgorgano da te in maniera spontanea.
Camminare sui carboni ardenti ed in generale motivarsi attraverso balli, salti e canti può essere divertente per qualcuno e questo tipo di corsi di coaching a volte costituiscono uno spettacolo di intrattenimento molto divertente.
Ma questo non ha niente a che vedere con la capacità di generare decisioni ed azioni nuove una volta tornato a casa.
Anzi, al contrario, creerà spesso un’enorme frustrazione perché crea una illusione di potere e capacità in contesti che poco hanno a che fare con la realtà personale e professionale in cui una volta uscito dal corso dovrai generare performance.
Insomma nessuno dei top performer che ho mai incontrato era motivato in maniera ‘esaltata’ come avviene nei corsi motivazionali, o utilizzava le strategie della PNL, o seguiva le strategie che vengono utilizzate nella maggior parte dei
Del ‘problema PNL’ e coaching mentale ho già parlato in Coaching Confusione, quindi trovi tutti i dettagli lì. In breve, nella mia esperienza questi appena citati sono approcci che non riescono a generare una reale trasformazione dei risultati, soprattutto in un contesto professionale come quello in cui viviamo oggi. C’è da dire inoltre che spesso, per venire incontro alla esigenze dei neo-coach che vogliono diventare a loro volta trainer il più presto possibile, il percorso per diventare istruttori di queste discipline è troppo veloce e superficiale.
Una esperienza immersiva nel coaching
La seconda osservazione che voglio fare è che un corso di coaching non può essere un corso in cui c’è il trainer che ti ‘racconta’ il coaching – magari usando delle slide ed un proiettore o con il supporto di audiovisivi – ed ogni tanto ti fa fare qualche esercizio.
E neanche un corso dove il trainer ‘fa filosofia’ e ti spiega semplicemente delle cose che dovresti fare o come dovresti comportarti per ottenere più risultati.
Un corso di coaching, se vuoi che generi trasformazione reale, non deve essere una ‘favola’ che contiene le regole che poi dovrai applicare per conto tuo per migliorare le tue performance.
Deve invece essere strutturato come una esperienza immersiva nella trasformazione, che te la faccia sperimentare da subito.
Nel corso ReSonance per esempio non esiste distinzione tra ‘spiegazione degli argomenti’ ed esercitazioni. E non si fanno ‘simulazioni’ di coaching. Le abilità che deve avere un coach vengono prima dimostrate realmente in reali sessioni (ne viene data una esperienza agli allievi ancora prima che sappiano di cosa si stia parlando) e solo dopo il trainer spiega il modello teorico in base a cui ha fatto alcune cose, e propone agli allievi delle esercitazioni che consentano loro di sviluppare gradualmente quelle abilità.
Questo è l’unico modo in cui gli studenti si trovino catapultati DENTRO il coaching ancora prima che qualcuno gli spieghi a parole cosa è.
E questo genera una qualità dell’apprendimento enormemente superiore rispetto al metodo frontale.
Un vero coach non risolve problemi
Ed infine l’ultima riflessione sul coaching e su come insegnarlo. Secondo me questo è il punto più importante di tutti quelli che hai appena letto.
Quasi tutti i corsi di coaching che conosco insegnano, in maniera più o meno esplicita, ai loro allievi a focalizzarsi sul ‘problema’. Tentando poi di risolverlo con diversi metodi.
L’idea di partenza del ReSonance invece è che quando non ci sono insegnamenti o condizionamenti che ci portano in direzioni diverse, ognuno di noi inizia la propria vita in uno stato di ‘performance naturale’.
Il tipo di educazione e di stimoli a cui siamo sottoposti negli anni, il tipo di condizionamento che riceviamo ci porta a rinunciare a questo stato di naturalezza nel fare le cose, ed a spostare al di fuori di noi il centro in cui troviamo il nostro piacere ed il senso di chi siamo e di quello che facciamo.
Quasi tutte le tecnologie di cambiamento disponibili oggi, tutte i modelli organizzativi, di miglioramento professionale, di crescita e sviluppo hanno come punto di partenza sempre lo stesso: il ‘problema’.
Partono dall’osservazione e dall’analisi di ciò che non funziona all’interno dell’individuo o dell’organizzazione, o delle sue performance, o delle sue relazioni… e analizzano il problema mettendo in campo una serie di tecniche per risolverlo.
Ma la mia esperienza è che quando si lavora così, il cambiamento è molto spesso superficiale, se non addirittura illusorio. La maggior parte delle volte la persona è convinta di cambiare semplicemente perchè sente di avere a disposizione ‘la tecnica’ per il suo problema.
Altre volte il cambiamento è temporaneo. O ancora la persona si accorge che risolvere quel singolo problema in realtà non risolve i suoi ‘problemi’, in senso più ampio.
Lavorando per più di 10 anni nella formazione con le aziende e avendo anche un profonda conoscenza di modelli evolutivi per la persona (Feldenkrais, Alexander, Shiatsu) mentre nel frattempo studiavo la PNL e le sue applicazioni pratiche nella professione, quello che ho potuto osservare è che il cambiamento, quando avviene, più che coinvolgere un singolo elemento… una singola funzione… avviene in senso globale: è l’intero sistema ad accedere, magari solo per un attimo, ad un luogo, ad una configurazione dove il problema, semplicemente, non esiste.
In quel momento ‘sta bene’ relativamente al problema per cui era venuta da noi, ma riesce anche ad accedere anche ad una serie di risorse personali, mentali, emotive, decisionali che semplicemente prima non percepiva e che può mettere in campo in qualsiasi area della propria vita.
In sostanza, quello che ho potuto osservare è che le persone che passano dallo ‘funzionare male’ al ‘funzionare bene’, qualsiasi cosa vogliano dire queste parole per loro, non lo fanno quasi mai perchè risolvono dei problemi con delle tecniche specifiche, ma perchè riescono ad accedere ad uno stato in cui (magari per un attimo solo) il problema non è presente.
E quando questo avviene davvero, la trasformazione riguarda ogni aspetto dell’individuo.
Da questo punto di vista, quello che facciamo nel ReSonance è un lavoro che trasforma, più che semplicemente cambiare. I seminari si svolgono in gruppi relativamente piccoli (15-20 persone) ed sono molto più simili ad un corso in aula che a delle conferenze. Ma in ogni corso le persone sperimentano una serie di esercizi e di dimostrazioni che permettono loro di accedere velocemente a questo stato.
Insomma il ReSonance più che risolvere problemi è piuttosto un processo per portare le persone ‘dove il problema non esiste’. L’intenzione è quella di far emergere per la persona una posizione di ‘attivazione’ che lasci emergere il prototipo di come la persona è quando non c’è niente che gli impedisce di generare le sue migliori performance.
In questa posizione il problema non è presente, e non può esistere come problema.
Questo non è uno stato mentale, e non è uno stato semplicemente fisico. E’ qualcosa di simultaneo, in cui la persona agisce in maniera molto fluida e consapevole. Quando questo stato è presente tutti i dati presenti e gli stimoli che la persona riceve sono visti ed integrati nel sistema della persona come possibilità. Non costituiscono più dei vincoli, o delle costrizioni ma vengono sperimentati in relazione a ciò che è possibile. E generano azioni congruenti.
Il sistema limbico, questo sconosciuto
Nel ReSonance lavoriamo molto portando sul recuperare l’attenzione su qualcosa che le persone dimenticano spesso, e che invece costituisce l’essenza di come generano performance, ottengono risultati, prendono decisioni ottimali per loro.
Esiste un modello della performance che non ha niente a che vedere con tutti i miti classici della formazione e dello sviluppo personale: l’autostima, l’autoefficacia, gli obiettivi, le credenze limitanti.
La verità è che Quasi tutti gli esperti di PNL e di Coaching lavorano esclusivamente ad un livello di neocorteccia, a livello mentale, ed anche quando dicono di fare un lavoro sulla performance che coinvolge l’uso di una parte più profonda, in realtà la loro attenzione rimane a livello puramente razionale o, al limite, lavora a livello superficiale su ’emozioni’ non meglio specificate.
La chiave della performance, che ripeto significa ottenere più risultati, suonare meglio, vendere di più, comunicare meglio, prendere decisioni migliori, invece sta, invece, nel creare un perfetto allineamento tra il sistema limbico del cervello e la parte della neocorteccia.
Quando impari a fare questo, la performance emerge come qualcosa che generi senza doverci nemmeno pensare, non come ‘idea’ pensata e razionale ma come una risposta più efficiente del tuo sistema mentale e somatico allo stesso tempo per farti ottenere quello che vuoi.
Tutto quello che serve per produrre una performance al meglio delle tue possibilità è ‘semplicemente’ far funzionare in maniera assolutamente sincronizzata la parte mentale e linguistica (semantica) e la parte somatica di chi sei.
Insomma: per generare performance la motivazione, l’autostima, o le strategie della PNL hanno una funzione solo marginale.
E’ solo quando riesci a lavorare a livello più profondo partendo da dove il sistema inizia davvero ad elaborare gli stimoli sensoriali prima ancora di valutarli razionalmente che puoi riscrivere davvero il modo in cui funzioni e generi risultati.
Cosa fa la differenza nel coaching
Ciò che fa la differenza nel coachkng sono due abilità strettamente legate: 1. imparare a interagire in modo automatico con i dati che arrivano dall’ambiente e 2. imparare a reagire nell’unico modo efficace PRIMA di doverci solo pensare.
In maniera pre-cognitiva.
Questo è quello che fa – senza accorgersene – un trader quando riconosce ‘al volo’ dei segnali, o un pianista quando accarezza i tasti del pianoforte nel modo che genera il suono che lui desidera, o un esperto di Aikido quando combatte.
Non ragiona su quello che fa. Lo fa, e solo dopo si accorge del gesto che ha fatto.
E questo vale non solo per performance fisiche (atleti, musicisti) ma ANCORA DI PIU’ per manager, imprenditori, venditori, professionisti, trader.
Per esempio, nell’ultimo anno mi è capitato di lavorare con diversi investitori di alto livello.
E quello che mi dicono è che un investitore davvero esperto non ragiona neanche più tanto in termini di mercato, analisi dei dati, calcoli e così via.
Ovviamente DEVE AVERE TUTTI QUELLE INFORMAZIONI. Ma gli basta dare un colpo d’occhio a tutti i dati dell’azienda su cui investire, ai grafici, ai prezzi di apertura e di chiusura… per capire al volo se acquistare o vendere.
Il fatto di riconoscere schemi vincenti nel mercato diventa qualcosa di radicato profondamente a livello neurologico e somatico, ed accedere a queste capacità diventa intuitivo e naturale quando sei capace di superare la parte puramente mentale e razionale.
Per generare più risultati devi insegnare al tuo sistema limbico ed alla tua mente come rispondere in modi che non sai ancora di conoscere e che però sono pronti ad emergere come comportamenti al momento giusto.
E devi imparare a ‘riscrivere’ il modo in cui il tuo ‘cervello più antico’, le componenti limbiche appunto, reagiscono o piuttosto interagiscono con quello che c’è intorno a te, con gli stimoli, con il contesto in cui operi.
Non è qualcosa che fai intenzionalmente. Non è qualcosa che fai razionalmente. E’ qualcosa che avviene dopo che hai insegnato alla parte del tuo cervello che si occupa di ‘reagire’ a comportarsi automaticamente in modo diverso.
L’idea di partenza di questo modello della performance, nella sua forma più semplice, è che quando non ci sono insegnamenti o condizionamenti che ci portano in direzioni diverse, ognuno di noi è in grado di entrare in uno stato di performance in cui può generare risultati senza sforzo. Il tipo di educazione e di stimoli a cui siamo sottoposti negli anni, il tipo di condizionamento che riceviamo ci porta a rinunciare a questo stato di ‘performance’ – che in realtà è il nostro stato naturale – ed a spostare al di fuori di noi il centro in cui troviamo il nostro piacere ed il senso di chi siamo e di quello che facciamo.
In quel momento le performance aumentano in maniera esponenziale piuttosto che linearmente.
Quando la persona accede alla propria posizione di performance non solo trova soluzioni ai problemi che sentiva limitare le sue performance ma riesce anche ad accedere anche ad una serie di risorse personali, mentali, emotive, decisionali che semplicemente prima non percepiva e che può mettere in campo in qualsiasi area della propria vita.
Nel ReSonance c’è l’assunto fondamentale che quando le persone passano da uno stato di scarsa performance ad uno in cui ‘funzionano perfettamente’, qualsiasi cosa vogliano dire queste parole per loro, non lo fanno quasi mai perché risolvono dei problemi con delle tecniche specifiche, ma perché riescono ad accedere ad uno stato in cui il problema non è presente.
E quando questo avviene davvero, i risultati che ottengono si estendono ad ogni aspetto dell’individuo.
Lo stato di performance non è solo uno stato mentale, e non è uno stato semplicemente fisico.
E’ qualcosa di simultaneo, in cui la persona non percepisce più la separazione tra mente e corpo. Quando questo stato è presente tutti i dati presenti e gli stimoli che la persona riceve sono visti ed integrati nel sistema della persona come possibilità. Non costituiscono più dei vincoli, o delle costrizioni ma vengono
Alcuni chiarimenti fondamentali
Non preoccuparti, nel ReSonance non facciamo ginnastica, ne ci sdraiamo per terra come in un ashram indiano. Neanche chiudiamo gli occhi e facciamo meditazione. E non facciamo ‘coaching emozionale’ (la sola espressione mi fa venire un po’ i brividi, lo ammetto).
Una sessione di coaching ReSonance assomiglia molto ad una sessione di coaching ‘vecchio stile’, ma sono completamente diversi gli aspetti su cui il coach ed il coachee portano l’attenzione durante ogni fase della sessione.
Il ReSonance è un sistema di coaching per occidentali che devono creare risultati veri e misurabili, persone con una mentalità occidentale, mentalità che però spesso ci fa illudere che tutto quello che otteniamo lo otteniamo grazie alla capacità di analisi ed alla parte mentale e razionale dell’esperienza. Quella che appartiene all’uomo evoluto, razionale, logico e calcolatore.
Non è così.
La maggior parte dei risultati e della performance migliori che generiamo derivano dalla capacità, che ogni essere umano ha innata e che purtroppo ad un certo punto è stato educato a ‘disimparare’, di allineare perfettamente la parte mentale e la parte limbica ed intuitiva dell’esperienza.
Ed a farlo funzionare in modo che rimanga ‘aperto’ agli stimoli esterni e non entri in una modalità in cui le uniche scelte che può prendere sono scappare, combattere o immobilizzarsi.
Quando riesci ad ottenere questo allineamento, immediatamente esplodono i risultati.
Ed è esattamente questo che facciamo nel ReSonance. Attraverso un sistema proprietario che mette in relazione la parte razionale con il linguaggio, ed il linguaggio con le parti le persone riescono ad entrare nella configurazione più completa che esista di come sono quando sono al loro meglio.
Quando questo succede l’individuo non sente più bisogno di ‘cambiare’ niente al proprio esterno o in sè, e invece percepisce che può ottenere (ed agire per ottenere) ciò che vuole da una posizione in cui è già perfetto e privo di nulla. E soprattutto riesce ad agire e a prendere decisioni complesse in maniera molto veloce. Che è quello che fanno i veri performer.
Come puoi usare questo nuovo meccanismo di coaching
Il ReSonance ha già dimostrato di essere in grado di generare risultati per venditori, musicisti professionisti, manager, imprenditori, atleti, trader. Insomma per persone che devono creare risultati di alto livello con continuità.
E’ un approccio innovativo ed elegante, che funziona con un meccanismo diverso da qualsiasi cosa abbia mai visto nel mondo del coaching, ed infatti pur essendo frequentabile anche se non hai esperienza nel settore (ed anzi forse è anche meglio, perché non hai bisogno di disimparare alcune ‘cattive abitudini’ abbastanza diffuse nel coaching) una buona parte degli iscritti al ReSonance sono normalmente già coach, counselor o consulenti esperti di cambiamento in diversi ambiti.