L’altra sera ho tenuto un breve seminario online per introdurre il modello ReSonance e l’approccio alla performance che utilizzo con i miei clienti.
Nell’aula poco meno di 100 partecipanti.
Ovviamente è molto complicato trasmettere attraverso un video in diretta l’essenza di questo lavoro, che si basa fondamentalmente sull’interazione e sul creare l’esperienza’ della performance per loro dal vivo…
Per il seminario online è stato fatto quindi un enorme lavoro di semplificazione per permettere comunque alle persone di accedere ad alcune idee alla base del modello, sui cui potessero iniziare a riflettere per conto loro dopo la fine del seminario online, e prima di frequentare magari un corso dal vivo.
Lo scopo del seminario non era tanto formare persone nel ReSonance ma ‘smontare’ alcune mitologie sulla performance che in realtà impediscono alle persone di ottenere risultati migliori.
Uno dei primi passaggi è stato quello di introdurre una distinzione tra persona ‘motivata’ e persona che sta operando al meglio… e come normalmente le persone motivate in realtà stanno portando la propria attenzione – senza accorgersene – non sul reale obiettivo che vogliono realizzare ma stanno reagendo ad una leva ‘inibitoria’.
Questo è una delle idee: ovviamente un conto è dirtela così un conto è lavorare dal vivo e interagire con te in un processo ReSonance che interviene allo stesso tempo sulla componente semantica e su quella linguistica per creare ‘silenzio’ invece di rumore molto velocemente, e spostarti in una posizione di performance.
Ad un certo punto nella finestra di chat dell’aula virtuale arriva il messaggio che sapevo sarebbe arrivato.
“Ah.. finalmente ho capito cos’è il ReSonance” 😉
Ed ovviamente non era così.
Comprendere un’idea dall’esterno quando te la presentano come qualcosa di astratto è un conto.
Sperimentare il processo quando un esperto del modello interagisce con te dimostrandoti e facendo emergere alla tua consapevolezza dove è DAVVERO la tua attenzione il 99% del tempo è un’altra.
Ovviamente questo NON è un post sul ReSonance.
E’ un post sulla comprensione e l’auto-consapevolezza della performance.
Ogni volta che scambi un’idea per l’esperienza del processo sintetizzata in quell’idea stai cancellando dei pezzi enormi di informazione.
E’ come quando da bambino guardavi Agassi che giocava a tennis e dicevi ‘Io saprei fare di meglio’ 😉
E’ come se volessi imparare a nuotare guardando i 50 metri nuotati da Alexander Popov.
A diversi livelli ognuno di noi compie questo errore percettivo.
C’è anche un grafico che lo descrive, ed la curva di Dunning-Kruger.
La vedi nell’immagine.
E descrive l’incapacità meta-cognitiva, da parte di chi non è esperto in una materia, di riconoscere quello che non comprende.
Se guardi ‘immagine, descrive la percezione illusoria di una persona che ne sa pochissimo su un argomento di avere ormai capito tutto.
Tre lezioni di nuoto e ‘ho capito come si nuota’.
Un corso di cucina e ‘sono un grande chef’.
Una laurea in economia e ‘sono un manager’.
Un corso di sviluppo personale e ‘vado dall’amministratore delegato della FIAT a dargli un po’ di consigli’
Tutto ciò succede alle persone perché non conoscendo ancora quello che non conoscono, devono necessariamente descriverlo a se stesso partendo da cose che già conoscono e che però non sono quella cosa lì che stanno imparando.
Se hai visto solo carrozze trainate da cavalli, una Ferrari è una strana carrozza rossa e bassa senza cavalli che la tirano.
Non so se rendo l’idea.
La necessità di generalizzare e ‘raccontarsi’ le cose sconosciute che incontriamo nel mondo risponde un po’ a come siamo strutturati neurologicamente.
Un po’ all’ansia che l’insicurezza di non comprendere qualcosa ci da.
Ma questo è anche un modo per non imparare cose nuove e non evolvere.
Per questo l’unico consiglio che ti do è di fare esperienza delle cose: potrebbe essere molto diversa dalla rappresentazione mentale che te ne eri fatto dall’esterno.
==> E se vuoi saperne di più guarda il Percorso ReSonance
Scrivi un commento