
Tranquilli, non è Lercio. È che stamattina mi è successa una cosa.
Appena sveglio ascolto alla radio un frammento di una trasmissione con Edoardo Ferrario (la trasmissione si chiama Blackout, RAI 2).
Puntualmente c’è la caricatura del coach scemotto che fa il motivatore e abbatte le convinzioni limitanti. (Devi crederci forte).
Prendono in giro bonariamente la categoria, e mi rode anche un po’, ma ci sta.
Poi, qualche ora dopo, mi sottopongono il profilo di un ‘mental coach’. Leggo il suo sito, che è la fotocopia di altri 1000 siti di mental coach.
Tra le varie perle…
Ho corso terminandole 5 maratone compresa quella di New York
Ok, e perché aver corso delle maratone dovrebbe renderti un professionista migliore?
Anche il mio commercialista corre le maratone ma non è che per questo fa meglio i bilanci.
Ho investito una grande somma di denaro nella formazione, al pari delle più prestigiose università americane, dimostrando una straordinaria bla bla bla.
Nota che ‘al pari…’ etc… era così in grassetto nell’originale.
Quindi amico mio fammi capire: hai speso 100k per studiare, magari con gente a caso, ed è la stessa cifra che ti sarebbe costato studiare a Stanford.. MA NON HAI STUDIATO A STANFORD E te ne vanti?
Cioè il criterio con cui uno dovrebbe sceglierti è che hai speso tanti soldi, potenzialmente a caso e che hai corso la maratona?
Ah beh… allora.
Direi che se i vari ‘mental coach ad alti risultati’ non la smettono di motivare immotivatamente e non cambiano paradigma, lo sputtanamento della categoria ce lo meritiamo.
Lavoro in direzione opposta da anni, e sono arrivato a fare coaching in contesti davvero selettivi.
E, pensate un po’, senza fare maratone.
Qualcuno deve ancora spiegarmi perché uno che corre e che è stato capace di abnegazione per correre 42 chilometri dovrebbe saper portare qualcun altro nello stesso stato di abnegazione. E come.
Motivandolo?
Con l’esempio?
Si sa da tempo immemore che i meccanismi motivazionali funzionano base di dopamina e non generano una trasformazione profonda e duratura.
La motivazione dura poco e costa un sacco di fatica. Esattamente come correre una maratona.
Correre una maratona significa correre una maratona, ne più ne meno. Non è un superpotere che fa trasudare delle conseguenze in altri settori. E tantomeno significa che sei in grado di trasferire abilità comportamentali e decisionali ad altre persone.
In più c’è una presupposizione interessante: che per generare performance la via maestra sia l’abnegazione, a discapito di altre cose.
Il risultato che è in un paio di scuola di pseudo-Coaching ‘ad alti risultati’ un bel po’ di gente che non ha mai corso prima ‘getta il cuore oltre l’ostacolo’ e inizia a correre. E più di qualcuno si è fatto male.
Poi c’è anche un po’ di gente qualificata che pensa che correre 42 chilometri non faccia neanche tanto bene alla salute, ma questo è un altro discorso.
Figurati se da questo discende automaticamente una qualche abilità di portare gli altri oltre le proprie limitazioni con solide basi tecniche specifiche.
Io la vedo così.
Il Coaching, grazie anche a scuole che sformano motivatori ed esaltati che dispensano banalità da supereroi è innegabilmente una disciplina un po’ sputtanata.
Il lavoro che fanno quelli che nella vita non sono riusciti a combinare molto, quelli che sono stati trombati in azienda, quelli che hanno fatto fallire l’impresa che avevano aperto.
E che ad un certo punto si mettono ad insegnare agli altri come vivere.
Ragazzi, è innegabile, parte dell’immaginario del Coach è quella roba lì.
Dall’altra parte c’è un MA. Per fortuna grosso come una casa.
C’è un ENORME bisogno di Coaching fatto bene in contesti seri. E anche una APERTURA verso professionisti davvero validi. Io faccio Coaching in Università Bocconi da 10 anni.
C’è tanto bisogno di performance generate da una posizione di autenticità e di integrità.
Di equilibrio tra vita personale e professionale.
Di capacità di accedere davvero a tutte le proprie risorse.
E le persone che più hanno bisogno di queste cose – che lavorano ad alto livello – non darebbero mai retta ad un motivatore o a uno che cerca di ‘abbattere le convinzioni limitanti’.
La strada di un Coaching evoluto è questa: superare il paradigma che adesso inizia a far prendere in giro il Coaching e imparare a lavorare davvero in profondità.
Io la risposta a questa sfida ce l’ho da 10 anni. Guardala qui.
Simone
P.S. Proprio su questo articolo si è sviluppata una bella discussione nel gruppo. Se ti va raggiungici nel gruppo.
Scrivi un commento