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Magari possiamo raccogliere qui qualche domanda o aree di interesse, cosa dici?
Grazie a te per aver condiviso, Alexander.Allora, provo a rispondere alla tua domanda da un milione di dollari cercando di essere il più possibile sintetico e pratico.Parto dai seguenti assunti:
– non ci troviamo in uno scenario di immersione, ovvero non siamo circondati da parlani della nostra target language;
– abbiamo una vita lavorativa e personale e quindi costretti a dosare le nostre risorse di tempo e energia.I principi qui sotto sono volti a massimizzare l’efficacia di queste due risorse in un’ottica di raggiungimento di un risultato operativo (quindi non un esame, o un certificato, ma la sensazione di saper interagire in maniera fluida anche se imperfetta con nativi)Strategia e pianificazione:
Valutare, agenda e calendario alla mano, con più onestà possibile quanto tempo si può dedicare in media a questo obiettivo: la costanza e il sapere cosa, quando, e come fare paga molto di più alla lunga che l’intensità di un iniziale entusiasmo effimero. Non considerare unicamente l’apprendimento valido quello di fronte ad uno schermo o quello passato chino su un libro: il 90% del mio lessico in Francese (vi scrivo dalle Ardenne) è stato acquisito durante percorsi in mountain bike qui nel parco nazionale. L’allenamento imperfetto che fate costantemente è molto più efficace di quello perfetto che riuscite a fare una volta al mese.
Input costante, comprensibile, e modulato:
L’ideale (per muoversi nel range A1-B1) è quello di materiale che offra un buon mix tra la comprensibilità graduale e contenuti un minimo interessanti altrimenti si rischia la sidrome che io chiamo The Penis on the Table (spacing intended). Materiale molto popolare tra i poliglotti sono i corsi Assimil o le Short Stories di Olly Richards ma la rete è ormai ricchissima di contenuto gratuito e di alta qualità. Toccate la grammatica il minimo possibile, inizialmente. Non ascoltate gli integralisti dell’immersione totale: la vostra lingua madre (o madri come nel caso di Alexander) sono il vostro miglior alleato inizialmente. Focalizzatevi su lettura bilingue, molto ascolto, traduzione bidirezionale, pattern e lessico più comuni.Consapevolezza del processo:Questa è la parte più critica e al contempo più difficile dell’intero viaggio. Sapere come funziona la nostra memoria linguistica, come gestire e superare l’ansia lessicale (Foreign Language Anxiety), come aumentare la nostra tolleranza per l’ambiguità (Tolerance for Ambiguity), come valutare gli effettivi progressi, come modulare il proprio apprendimento sulle nostre caratteristiche individuali: è la differenza che fa la differenza, specialmente nel lungo periodo. Ed è anche uno dei miei interessi professionali come formatore.Questi accenni “accarezzano” la parte analitica a curiosa di me, a questo punto (conscio del fatto che la risposta a questa domanda potrebbe generare un corso o una SNC o… ) chiedo: a livello PRATICO cosa conviene fare per imparare velocemente una lingua (o altra abilità) ?
Studi in doppio cieco su larga scala su adulti ne ignoro, sono pochi e frammentati, ma per la riconoscimento degli schemi, specialmente sui bimbi o studenti, ti invio gli articoli apparsi su Psychological Science e Daily Science che avevo salvato.
Non riesco come ti dicevo a postarli qui per via del filtro antispam.
Ciao Simone,
in breve sì, soprattutto quelli orientati alla comunicazione.
L’uso di chunk a livello didattico è alla base del cosiddetto Approccio Lessicale (Lexical Approach) sviluppato da Lewis nei primi anni 90, che sopravvive con diverse modifiche in svariate modalità didattiche, ed è anche alla base di alcuni processi di machine translation.
L’intervallo e la modifica a cui fai riferimento invece, hanno a che fare con due principi:
– Il cosiddetto Spaced Repetition System, o ripetizione dilazionata: derivato dai primi lavori di Pimsleur (i cui corsi se non sbaglio hai già provato) ed è ormai alla base di buona parte degli algoritmi di retrieval practice.
– La Teoria del carico cognitivo (Cognitive Load) e quella dei Narrows Limits of Change che indicano i pochi cambiamenti gestibili volta per volta dal nostro sistema cognitivo.
Buongiorno e Buon Anno a tutti!
Grazie in particolar modo ad Alexander per la sua condivisione: persone che come lui sono cresciute parzialmente o totalmente bilingue sono un ottimo esempio di come funziona l’apprendimento di una lingua.
Prendo spunti da alcuni estratti del suo post per sottolineare alcuni aspetti chiave:
>>Sì, per esempio quando mia figlia studiava tedesco e mi chiedeva consiglio su alcune traduzioni, io non sapevo rispondere sul perchè a mio avviso fosse più corretto un modo rispetto ad un altro. Le spiegavo che mi veniva da dire così.
>>Ma alla fine è così anche per l’italiano, di cui ho studiato approfonditamente la grammatica a scuola, ma non ne ricordo niente. Quando mia figlia in questi anni ha fatto l’analisi grammaticale e logica, mi sono accorto di non ricordare gran che e di sicuro non ci penso, mentre dico una frase o scrivo un messaggio.
Questa è la differenza tra le competenze dichiarative (saper spiegare ‘come’ funziona qualcosa) e quelle procedurali (sapere effettivamente fare quelle cose in modo corretto). Le uno non sono precondizione delle altre. Puoi parlare una lingua benissimo senza sapere come, e puoi sapere in teoria ‘come’ funziona una lingua senza saperla parlare necessariamente bene.
Provate se vi va a fare questo piccolo esperimento: prendete un testo in una lingua straniera, possibilmente abbastanza lungo, e buttatelo in pasto ad un traduttore automatico. Poi dategli una scorsa. Guardate in quanto poco tempo vi accorgete che qualcosa non quadra. Probabilmente in qualche frazione di secondo dopo aver letto una frase incriminata. Questa è la velocità vostra sensibilità linguistica. Ora chiedetevi cosa c’è effettivamente di sbagliato? La vostra prima risposta sarà probabilmente ‘non so, non si dice così, io direi in questo o questo altro modo’ ma difficilmente riuscirete ad esplicitare il perché, per lo meno su due piedi.
Ora immaginatevi questo scenario in un corso di Excel. E’ molto più semplice e veloce imparare ad usarlo con istruzioni chiare anziché procedere a ‘sentimento’ e prova ed errore. Una logica completamente diversa vero? Questo è quello che intendevo quando dicevo che i meccanismi della res cogitans e della res linguisica non si sovrappongono: un errore strategico molto comune, rafforzato daè trattare una lingua come un corso di excel, un manuale di istruzioni e una lista di vocaboli da imparare.
Un piccolo takeaway per chi di voi ha una mente logica e procedurale: fare reverse-engineering di una lingua può essere avvincente, stimolante e anche utile – ma non dimenticatevi che avete accesso a modalità molto più ergonomiche alla forma del nostro apparato linguistico.
>>Quindi una delle domande che mi pongo è: ma serve studiare la grammatica per imparare una lingua ?
La risposta è sì, in parte, ma dipende da quanto, quando e come. Ma su questo mi serviranno almeno altri 3 post ; )))
>>Le hai capito che vado ad orecchio e siccome sbagliavo la terza persona, me la faceva ripetere diverse volte velocemente, affinché mi rimasse in testa il suono, la sequenza.
Più di una cosa è interessante qui.
La terza persona in inglese è qualcosa di concettualmente banale – sicuramente molto più elementare di molte procedure complesse che abbiamo dovuto imparare nelle nostre professioni. Eppure, pur avendola compresa, quando passiamo all’azione, molto spesso viene sbagliata.
Tra i diversi motivi:
- la -s/-es alla terza persona contiene un contenuto informativo irrilevante per la comunicazione e quindi per pragmatismo (tendenza al risparmio energetico) il nostro sistema lo salta.
- lo ‘stato’ del nostro cervello in fase di valutazione (comprensione della regola) è diverso dello ‘stato’ del cervello in fase di esecuzione (parlo e la uso). In pratica il tizio nella vostra testa che ha capito la regola non è il tizio che poi la va ad implementare. Bisogna parlare al secondo, il primo anche se non capisce è ininfluente a fini della performance.
Guarda caso, per farla implementare, la docente non è ricorsa a spiegazioni, ma a ripetizioni ad alta velocità (per bypassare il monitor linguistico)
Questo perché noi umani dividiamo ogni cosa in chunks (“spezzoni lessicali” come dei lego che si combinano tra di loro) e non singole parole. Una delle cose che il nostro cervello è abilissima a fare è riconoscere pattern: sequenze che si ripetono.
Ciao Simone,
con un tema così vicino ai miei interessi professionali non potevo non commentare.
Concordo con il tuo commento iniziale: non a caso, , Alexander Arguelles uno dei più grandi poliglotti in vita (per darvi un’idea, comprende a diverso livello una cinquantina di lingue l’ultima volta che ho controllato) ha definito l’apprendimento di una lingua come una forma avanzata di esercizio mentale e di auto-disciplina.
Ma non solo: è una forma di autoconoscenza – ”una finestra sulla natura umana” direbbe Pinker – e di conoscenza dell’altro-da-sé, i cui benefici psicofisici si estendono ben al di là della semplice cultura generale o possibile avanzamento professionale.
Aggiungere qui alcuni aspetti, molti dei quali li vedo in linea con molti principi del ReSonance:
- è una pratica democratica: esclusi danni neurologici o gravi carenze, la capacità di imparare più lingue fa parte della nostro birthright, del nostro diritto di nascita come esseri umani. Il mito del talento delle lingue è, appunto, uno dei tanti neuromiti che girano nel mondo della formazione. E sono tra l’altro i poliglotti più affermati che candidamente lo confessano.
- è una pratica controintuitiva: i processi mentali che ci hanno reso brillanti nella nostra professione non sono quelli che determineranno il nostro eventuale successo nelle lingue – come uso ripetere spesso ai miei studenti, la res linguistica opera con regole diverse dalla res cogitans. Scoprire quali sono i ‘muscoli linguistici’ da esercitare (l’ovvio elusivo mi verrebbe quasi da dire) è parte integrante del successo.
- è una pratica trasformativa: in quanto parte integrante, oserei dire viscerale della nostra identità, imbatta giocoforza sul modo di pensare, di essere, di rapportarsi, integra parti di noi che esistevano solo in nuce ma non avevano trovato ancora una lingua con cui esprimersi – vedi per esempio i realia. Mi ricordo ancora un professore di russo all’Università di Zurigo che mi raccontava come, per lui, il riappropriarsi della lingua italiana fosse stato un atto terapeutico.
Rispetto al come: principi, metodi, tecniche – beh, ci sarebbe da scrivere per altri dieci post. Non voglio annoiarvi oltre – sono davvero interessato a leggere invece delle vostre esperienze invece, con metodi tradizionali o meno tradizionali.
Un saluto,
Lorenzo
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