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Salvatore Cecere.
- AutorePost
- Ottobre 24, 2019 alle 5:12 pm #12
Parlo spesso con persone che chiedono informazioni sui corsi di Coaching che teniamo nel ReSonance.
Ieri parlando al telefono con una di queste è emerso un TIPICO argomento che incontro quando entro in contatto con persone che hanno già fatto corsi / avuto esperienze nell’ambito dello sviluppo personale / coaching.
Per farmi capire che aveva già delle competenze questa persona mi dice
“Tra l’altro sono esperto al punto che ho fatto ‘terapia’ (sic) a una persona e gli ho fatto passare una fobia che non gli era riuscito a far passare neanche xxxx (nome di coach famoso).
Al di là del fatto (OVVIO) che un coach / counselor /consulente personale NON FA TERAPIA in nessun modo.
(sono sicuro che la scuola in cui ha studiato non ha colpe, ma è semmai il modello di coaching che insegna che contiene implicitamente questa idea che fare coaching equivale a ‘risolvere i problemi delle persone’)
Non è di questo che voglio parlare oggi.
Ma piuttosto portare l’attenzione su un’idea fondamentale nel Coaching ReSonance.
Mediamente nel coaching c’è questa idea che una persona migliora A FORZA DI TOGLIERE PROBLEMI.
Abbiamo una persona con dei problemi. 1, 2, 5… quanti ne vuoi.
Iniziamo a togliere questi problemi attraverso delle tecniche e alla fine avremo una persona migliore.
Della serie.
Persona Migliore = Persona – Problemi.
Questo è l’approccio seguito NELLA REALTÀ da quasi tutti i coach / pnl / ‘esperti’ di tecniche più o meno lecite di ‘guarigione’ o di cambiamento. Lavorare sul problema.
LO SO che dicono che lavorano sulle risorse, sulle possibilità, e tutto il resto.
Ma NELLA PRATICA… in quello che dicono e che fanno, nel modo in cui presentano e promuovono il proprio lavoro… quella che fanno è questo: LAVORARE SUL PROBLEMA.
È un approccio sicuramente possibile. Ma non è il migliore (e lo dicono anche le Neuroscienze).
Il fatto è che riconoscere l’approccio che si sta usando non è banale.
Possiamo essere convinti di lavorare sulle risorse, ma in realtà stiamo scavando nei problemi.
Cambiare paradigma di pensiero è qualcosa di molto più complesso, non è come cambiare un paio di calzini.
E infatti nei corsi ReSonance i primi a dimostrare di essere ‘incapaci’ di pensare in termini di risorse sono spesso proprio quelli che hanno seguito più corsi di coaching etc.
Chi ha seguito qualcosa del ReSonance sa già di cosa sto parlando.
Ed è a loro che chiedo un parere.
Potete spiegare – a parole vostre – come questo processo di pensiero e di attenzione diverso ha influito sulla vostra vita personale e professionale?
Simone
- Ottobre 24, 2019 alle 6:54 pm #26
Ciao, sicuramente questo processo di attenzione e pensiero diverso ha inciso sulla mia vita professionale e quindi personale (per me non sono slegate … non ho due vite)!
Prima di studiare con Simone la mia attenzione era sul voler riuscire a valere nel mio lavoro, a farmi una posizione … ma ero terrorizzata dal commettere errori o dal non essere in grado di essere brava come gli altri… al tempo non ci facevo caso e mi sembrava normale e quindi nella maggior parte dei casi vivevo male anche le piccole situazioni quotidiane! Oggi mi rendo conto di gestire dieci volte situazioni più complesse e di svegliarmi la mattina e affrontare quello che c’è da fare nella mia posizione migliore. Non percepisco il problema …e questo avviene da anni e in modo sempre più fluido! Se mi guardo indietro la trasformazione è evidente! Proprio stamattina una persona che mi ha visto mentre andavo a lavorare mi ha detto ‘Si vede che stai proprio bene’… e non c’è un motivo specifico ma la mia attenzione e la somatica del mio corpo è in posizione in automatico. Questo ha consentito nel tempo di raggiungere eccellenti risultati, godermi il rapporto umano coi miei clienti e con i miei colleghi, sapere leggere gli equilibri interni all’azienda e agire con prontezza… trovarsi nel posto giusto al momento giusto a volte non è un caso.
Magari ho meno tempo ma non smetto mai di studiare con Simone… mi basta rileggere il suo libro, o seguire un weekend o fare un’immersione nei suoi articoli.
Grazie Big! - Ottobre 24, 2019 alle 7:04 pm #28
Il pezzo davvero interessante della tua risposta è:
ma ero terrorizzata dal commettere errori o dal non essere in grado di essere brava come gli altri
Immaginate un pianista che per tutta l’esecuzione è attento a non fare errori. O pensate ad un altro che ha l’attenzione sulla musica e su quello che vuole trasmettere al pubblico con la propria musica.
Il ‘problema è che’ 😉 dove metti l’attenzione non è semplicemente funzione di quello che vuoi dal punto di vista mentale e razionale.
Non puoi semplicemente dire ‘adesso mi concentro su quello che voglio’ e la cosa succede.
La capacità di decidere dove metti l’attenzione purtroppo è qualcosa che in molti casi deve essere ri-allenata e ri-sperimentata, perché in qualche modo ‘atrofizzata’ dal poco uso.
E questa è una cosa così poco visibile anche alla stessa persona, qualcosa di ovvio e banale ma invisibile e che sfugge, che spesso si passano anni pensando di sapere quello che si vuole – e cioè suonare bene – mentre l’attenzione è solo su quello che non si vuol e – e cioè non fare errori.
Il discorso è complesso, e ovviamente ho preso l’esempio del pianista perché è un tipo di performance molto rappresentativo.
Ma tenete in mente questo: la cosa più importante, prima ancora di decidere i propri obiettivi nel coaching, è recuperare il controllo della propria attenzione.
commenti benvenuti
Simone
- Ottobre 25, 2019 alle 8:07 am #43
Spostare la mia attenzione dalla percezione dei problemi e riaccedere a una posizione in cui non percepisco i problemi come tali (fatti e accadimenti continuano ad essere presenti, ma è la mia percezione ad essere trasformata) ha avuto una serie di conseguenze molto interessanti. Oggi sono capace di cambiare filtro molto più velocemente di quanto fossi in grado prima del ReSonance. In alcuni casi ero riuscita a farlo anche prima, ma non era la stessa cosa, era come se stessi forzando me stessa a vedere le cose diversamente e questo implicava che prima di tutto riuscissi a riconoscere cosa stava accadendo. Ora invece accade, semplicemente: percepisco il problema – questa fase permane in casi in cui mi senta molto toccata da qualcosa che avviene fuori di me – e il problema si trasforma rapidamente da ‘problema percepito’ a ‘dato/informazione’. E i ‘dati/informazioni’ diventano risorse, anche quando non sono facili da gestire o processare. Il fatto poi che continui a passare ciò che mi tocca molto profondamente porta continue informazioni anche su chi sono.
Questa trasformazione ha investito tutto quanto: attività, relazioni… E mi dà una tranquillità di fondo perché so di potermi muovere con più leggerezza in ciò che mi accade. E, oltre che utile, lo trovo molto divertente 🙂 - Ottobre 25, 2019 alle 9:42 am #46
Anche per me la parola chiave è “mettere l’attenzione”.
È una cosa in cui mi sono subito ri-trovato. Sono sempre stato per natura un problem solver, nel senso che quello che per tutti era un problema per me era un’informazione che mi permetteva prontamente di risolvere, di trovare nuove soluzioni.
Parlo al passato perché negli anni mi sono dimenticato, mi sono lasciato sopraffare dai fallimenti.
L’ho ritrovato grazie al ReSonance e mi ritrovo più pronto e performante di quello che ero venti o trenta anni fa e con la capacità di mettere l’attenzione su quello che conta. - Ottobre 25, 2019 alle 11:41 am #47
Da configurazione generativa abbiamo e vedo spazi di possibilità dove agire e non solo spazi di reazione (a volti dettati da vere emergenze a volte, spesso,da configurazione inibitorie)
e quindi “semplicemente” tutto cambia,meglio, si trasforma.
Nella valutazione, nelle decisioni, o meglio nella fluidità delle “decis-azioni” - Ottobre 25, 2019 alle 2:35 pm #48
inizierei a dire che la cosa più significativa è una molto migliore qualità di vita!
per quanto poi mi riguarda, condivido senz’altro quanto scritto, e aggiungo che per me è stata raggiungere una chiarezza che, fino a quando approcciavo “il problema” e ne cercavo la soluzione, non avevo.
chiarezza nel perseguire quanto volevo, nel rispetto di ciò che era attorno a me, senza sovrastrutture e filtri legati a timori o “suggestioni” esterne.
possibilità di muovermi su una mia strada indipendente, con aggiustamenti lucidi man mano che procedevo, imparando a fidarmi della lettura del mondo basata su dati ed esperienze per quanto possibile oggettive.
importantissimo poi è il fatto che il feedback era diventato uno strumento di misura per valutare le scelte che facevo, e non un giudizio percepito come monito a star guardinga su ogni impiccio io inciampassi (problema?? ). - Ottobre 30, 2019 alle 11:24 am #55
Ho cominciato ad occuparmi di coaching cinque anni fa. Dapprima frequentando una scuola “standard” ossia: il cliente ha già tutte le risorse. Poni domande potenti che aprano il suo cuore. Ad un certo punto,il cliente deve definire il suo obiettivo. Solitamente quando ci esercitavamo, la sessione prevedeva che il coachee portasse un “tema”. In realtà il tema era un problema. Un qualcosa che non andava. Un episodio della propria vita da risolvere. E la sessione palleggiava tra il racconto del problema del cochee e le domande a riguardo del del coach. Fino al punto in cui il coach doveva fare la domanda di rito:”Quale è il tuo obiettivo a proposito di questo,o di quello?”
Spesso mi capitava che da coachee non riuscissi ad individuare il mio obiettivo e mi chiedevo il perchè. Non lo vedevo. NON POTEVO VEDERE COSA VOLEVO, perchè non ero strutturato internamente per vederlo. Vedevo solo una situazione da cui uscire. Come potevo parlare di raggiungere un obiettivo, se SENTIVO solo il bisogno di uscire da una determinata situazione?
Nel ReSonance, prima di poter parlare di obiettivo, risultato, o azione da compiere, si lavora per permettere alle persone di accedere ad una struttura interna, personale, unica per cui l’attenzione si sposta letteralmente dai “temi” che ho citato in precedenza, ad una chiarezza cristallina su ciò che REALMENTE si vuole ottenere. Perchè è parte di CHI SI E’ e non di qualcosa di esterno da cui dover fuggire o da risolvere. Lo si “sente” non solo da un punto di vista mentale ma anche fisico. Questo è quello che è successo e succede a me. E da quattro anni ad oggi,cambiamenti e risultati TANGIBILI, ne ho ottenuti molti
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